"Era una notte buia e tempestosa. All'improvviso echeggiò uno sparo..."
Quante volte abbiamo sorriso leggendo l'incipit con il quale immancabilmente Snoopy apre i suoi romanzi?
Eppure Charles Schulz, nella sua infinita e chirurgica ironia, centra appieno il problema con il quale molti autori esordienti si scontrano, il più delle volte senza nemmeno accorgersene.
L'incipit... quella manciata di parole che farà prendere al lettore la decisione più importante per la carriera di chi scrive: volto pagina e continuo a leggere o chiudo il libro e passo oltre?
Nel corso degli anni ho letto ogni genere di incipit, soprattutto nei manoscritti che mi vengono inviati con la richiesta di pubblicazione, e devo riconoscere che l'assenza della figura dell'Editor, spesso, si fa sentire in modo violento tra le righe che dovrebbero essere composte per catturare l'attenzione del potenziale lettore, quando non addirittura del potenziale editore.
Ho spesso affermato di non voler salire in cattedra, anche perché non credo di possederne i requisiti, ma vorrei soffermarmi sul concetto di incipit e liberare un paio di riflessioni che potrebbero anche trasformarsi in consigli utili per alcuni.
Innanzitutto la durata.
Come per qualsiasi cosa che riguardi la scrittura di un libro, non esiste il modo giusto in assoluto: ogni espediente letterario è funzionale alla storia, secondo la logica "if it works, it works" che non dovremmo mai perdere di vista quando martelliamo sui tasti per spremere l'idea che ci ronza in testa fin sulla carta della stampante.
Non esiste la lunghezza giusta per un incipit.
Può essere secco e violento come "L'uomo in nero fuggì nel deserto e il pistolero lo seguì", o più ramificato come "Molti anni dopo, di fronte al plotone di esecuzione, il colonnello Aureliano Buendia si sarebbe ricordato di quel remoto pomeriggio in cui suo padre lo aveva condotto a conoscere il ghiaccio", ma quello che conta è solo l'impulso fornito al lettore per voltare pagina con la consapevolezza di trovarsi di fronte al libro che non può assolutamente fare a meno di leggere.
Ora, qualcuno potrà dire che mi piace vincere facile, citando gli incipit di due mostri sacri come Stephen King (La Torre Nera) e Gabriel Garcia Marquez (Cent'anni di solitudine), ma anche tra i grandi della scrittura, spesso, mi imbatto in incipit tutt'altro che accattivanti, in virtù dei quali non volterei pagina se non conoscessi già l'autore e se non fossi certo al di là di ogni ragionevole dubbio che il libro valga la pena di essere letto.
Ma parlando di esordienti o emergenti non è possibile giocarsi il Jolly del "lo conosco: sarà sicuramente un ottimo libro"; quindi l'incipit dovrà essere un magnete capace di incollare il lettore alla pagina, senza se e senza ma.
Quali sono gli elementi che dovrebbero comporlo, allora?
Ribadisco: non sto salendo in cattedra. Mi limito a indagare, concatenare e dedurre (era una citazione di Sir Arthur Conan Doyle, per chi non l'avesse presa...) per giungere a un concetto accettabile e applicabile, basandomi soprattutto sui moltissimi libri letti, su quelli valutati e pubblicati (o scartati) e su quei due o tre romanzi che ho scritto e che, sulla scorta dei dati di vendita, proprio schifo non hanno fatto.
"Era una notte buia e tempestosa"... a meno che le condizioni meteorologiche non siano una condizione essenziale per la contestualizzazione della storia, vanno evitate come la peste. Al lettore non interessa sapere se l'Uomo in Nero fuggì nel deserto mentre pioveva: gli interessa sapere che il pistolero lo seguì. Che tempo faceva quel giorno nel deserto e se il pistolero lo seguì correndo o camminando con calma, c'è tutto il libro per scoprirlo, ma in quel momento magico nel quale il lettore decide se proseguire o meno dobbiamo passare attraverso la pancia per raggiungere il cuore. Al cervello penseremo poi.
Una parola è poca e due sono troppe. Dovremmo essere parsimoniosi di caratteri e prodighi di emozioni... ammiccanti quanto basta e con lo spoiler trattenuto sempre sulla punta delle dita, senza che scivoli sulla pagine nemmeno per sbaglio. Il dono della sintesi è un'arte che si padroneggia con l'esercizio, e per quanto riguarda la stesura di un buon incipit risulta essenziale. Nessuno sa perché Aureliano Buendia si trovi davanti al plotone di esecuzione, e in quel momento a nessuno importa, ma sappiamo che c'è. Lo sa la pancia, il cuore recepisce e il cervello - buon ultimo - comanda al dito di voltare pagina.
Poi la Pistola di Checov. Se fate parte del folle universo della scrittura do per scontato che sappiate cos'è, ma a beneficio di coloro che lo ignorano ricordo che "la pistola di Checov" è quell'espediente narrativo secondo il quale ogni elemento di un romanzo deve essere funzionale alla storia. Anche qui ci sarebbe da discutere parecchio, ma rimando la chiacchierata a un prossimo post. Comunque sia, secondo quanto affermato da Anton Checov, se in scena c'è una pistola, prima della chiusura del sipario quella pistola dovrà sparare. È un assioma. Un incipit che contenga anche la pistola di Checov, o un larvato riferimento a essa, sarà quantomai rafforzato e potrà puntare senza deviazioni di sorta alla pancia del lettore.
E infine il "quando". Ovvero: ma l'incipit devo per forza scriverlo di getto sulla pagina bianca con il quale apro il mio nuovo romanzo? No! Nemmeno per sogno! Se vi è venuto fuori il cerchio di Giotto tanto meglio, ma non c'è alcuna viltà nel riprendere l'incipit alla fine della prima revisione (o della seconda; o della terza...), stracciarlo in mille pezzi e disporsi nel più ruffiano e bieco dei modi a scriverne uno capace di trafiggere il lettore con la stessa efficacia di un ramponiere del Pequod. Se necessario riscrivetelo dieci volte, ma assicuratevi che rileggendolo vi salgano le lacrime agli occhi, altrimenti significa che il lavoro è ancora da limare.
Ecco. Per essere uno che non voleva salire in cattedra penso di aver lanciato un bel po' di certezze assolute, ma si sa: chi scrive possiede un Ego ipertrofico che raramente riesce a starsene buono da una parte mentre gli altri presidiano la scena. Perdonatemi, se potete.
E comunque amatemi; so che non potete farne a meno! Buona scrittura!
Ma i commenti sono consentiti?