Sabato 12 ottobre.
Un giorno come tanti, se lo guardi distrattamente sul calendario dello stramaledetto telefonino che ti porti appresso, attaccato come una cozza allo scoglio.
Ma per un gruppo di "ragazzi" capaci di coltivare i sogni per farne nascere vite straordinarie, sabato 12 ottobre ha rappresentato una serie di traguardi importanti, tra i quali possiamo annoverare vent'anni di musica insieme e l'uscita di un libro che proprio questi vent'anni celebra.
Loro sono "Banda minima Garantita": una band romana composta da elementi che hanno fatto di musica e amicizia uno stile di vita per cinque lustri filati filati, e che oggi possono guardarsi indietro certi di aver fatto la cosa giusta.
Il luogo è la Locanda Blues di Roma: un tempio della buona musica dove se entri con l'autotune, come minimo ti mettono a cuocere insieme allo stinco di maiale.
I personaggi sono Lisa Di Giovanni, amica, collega e impareggiabile Ufficio Stampa, Rita Ricci, giornalista alla quale non capisco perché non abbiano già riconosciuto il Pulitzer, e altre duecento persone che hanno affollato ogni angolo libero godendosi la festa dei sei musicisti come si faceva ai tempi del liceo, quando ancora i telefonini non c'erano e le rivalità si articolavano tra i fans dei Led Zeppelin e quelli dei Deep Purple.
È stato un meraviglioso tuffo nel passato accompagnato da brani italiani e internazionali che hanno smosso ricordi profondi in ognuno dei presenti, in un viaggio tra Santana, Berté, Gaetano, Dire Straits e Creedence.
Sono stati momenti toccanti, grazie anche all'interpretazione della Band, che è stata capace di scatenare una ridda di emozioni nei presenti come nemmeno i gruppi più blasonati sono capaci di fare.
Personalmente devo ringraziare tutti loro: Massimo e Alessio Lai, due voci in grado di graffiare e accarezzare con la stessa apparente semplicità ; Antonio De Santis, bassista di rango e ottima voce, preciso come un orologio svizzero e morbido come un marshmallow sciolto nella cioccolata calda; Raffaele Longo, batterista di lungo corso e virtuoso di ogni ritmo, capace di trasformarsi ora in un metronomo umano, ora in un fantasista senza pari; Mauro Moriconi, chitarrista bionico con una padronanza negli assoli da far dimenticare che sul palco c'è lui invece di Mark Knopfler. E un grazie speciale a Emilio Ripani.
Sì, perché lui non lo sa, ma quando ha imbracciato la chitarra acustica e ha lasciato scivolare nell'amplificatore i primi accordi di "Father and son" di Cat Stevens, dentro mi si è aperta un voragine grande come la Fossa delle Marianne e per un attimo babbo è stato di nuovo accanto a me, dopo quel 21 di luglio, sempre troppo vicino, che me lo ha portato via.
Ecco. Non lo sapevi, Emilio, ma adesso lo sai: dopo quasi tre mesi sono riuscito a versare parte di quelle lacrime che ancora si rifiutano di scendere, e per questo ti sono grato.
Per fortuna il buio in sala ha protetto questo mio momento troppo umano per un editore, che come è noto dovrebbe essere un bastardo con un calcolatore al posto del cuore e il catalogo al posto dell'anima.
E comunque il 17 novembre si replica.
Al Fonclea, questa volta: altro tempio storico della musica dal vivo a Roma.
Chi non ci sarà non sa cosa si perde.
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